Cosa desideriamo, quando apriamo la prima pagina di
un libro di poesie di un autore che non conosciamo? La felicità mentale che può
scaturire dalla percezione del miraggio di una reciprocità, di un con-sentire
d’anime? Il piacere del riconoscimento, che è come dire di un rispecchiamento
di noi stessi (o di un parte almeno di noi stessi) per grazia di voce altrui?
Lo shock della rivelazione di qualcosa d’altro che irrompe, nuovo,
all’orizzonte della nostra coscienza, energizzandolo? Tutto questo,
probabilmente. E probabilmente molto altro ancora. Non si insegue, in
definitiva, che il nostro sogno del mondo - o dei mondi, se abbiamo almeno un
minimo di inclinazioni bruniano-cosmologiche…
Sia come sia, questo bel Tiro a sorte la libertà di Anila Hanxhari conferma l’impressione
della lussureggiante novità della poesia dell’ancor giovane poetessa albanese,
che è piombata nel bel mezzo della via larga e tendenzialmente senza scosse
della nostra tradizione più recente come una sorta d’incarnazione piena di
grazia del freudiano “perturbante”.
Irruente, irridente, fastosamente immaginifica, la
voce multipla eppure così riconoscibilmente sua della Hanxhari serve un sano
principio decostruttivo del verso “giusto”, calibrandosi sul metro di una
dinamica ritmica, lessicale e visionaria di stampo neo-surrealista che mi
sembra avere fertili potenzialità rivitalizzanti. Aperta la prima pagina al di
là degli eserghi, subito leggiamo: “La mente è un popolo, diceva mio nonno/ mio
nonno è una barricata/ ha sviluppato l’ascendenza del silenzio nei calli/
mastica la parola sotto i baffi con i melograni…” E poi leggiamo anche: “Se
nella corsa i piedi pensano/ allora ogni passo avrebbe un uomo dentro/ come un
abito o il bene”; oppure, ancora, per esempio: “Libertà ti è spina nel fianco
la figlia/ e non puoi arrotolare la lingua nella morsa/ dove la dignità cinge
la testa/ destinata a misurarsi con le cicale”. Davvero, molto di rado nella
scrittura in versi che si pratica, oggi, in Italia, capita di imbattersi in
un’intenzione così perfettamente risolta nel gesto poetico. Sembra quasi che i
semi arcaicizzanti gettati a suo tempo dal mitomodernismo abbiano fruttificato,
oggi, sul terreno pre-letterario nel quale affonda la vocazione anfibia della
Hanxhari, che affila la propria stramba, capillare percettività e la qualità
spiazzante del suo straniante controcanto neo-barocco attingendo a piene mani,
come un agrimensore dell’invisibile, ai serbatoi terrestri e celesti dell’arché.
Il che,
detto in un altro modo potrebbe suonare anche così: la Hanxhari scrive poesia
originale non perché la sua sia una poesia semplicemente (banalmente) nuova, ma
perché, Deo gratias!, cerca di, e
riesce a, essere originaria.
Massimo Morasso
Anila Hanxhari
TIRO A SORTE LA LIBERTÀ
Presentazione di Davide Rondoni
Prefazione di Rolando D’Alonzo
Edizioni Tabula fati
[ISBN-978-88-7475-508-0]
Pag. 120 - € 10,00